Descrizione di S. Zeno
Va precisato che già prima dell’arrivo di S. Carlo, esisteva nella nostra parrocchia l’oratorio di S. Zeno, come ci attesta il LIBER di Goffredo da Bussero fin dal XIII secolo, facendo accenno non solo al santuario, ma anche ad un altare dedicato a S. Pantaleone. Si legge infatti testualmente nel Liber: “Calugo Ecclesia sancti Zenonis (...) Notate quod in Mediolanensi Diocesi habet altare [sancti Patalimonis] in Ecclesia sancti Zenonis de Carugo plebis de Marliano”.
Dobbiamo però attendere il XVI secolo per avere il primo documento descrittivo della chiesa, redatto in occasione della visita pastorale del 1566, fatta da Padre Leonetto Chiavone, su incarico dello stesso S. Carlo Borromeo, che la presenta oscura, senza pavimento, coperta di tegole, con un solo altare, senza paramenti, senza alcun reddito, quasi sempre chiusa, in quanto solo sporadicamente vi si celebra la messa, ma con un particolare per noi insolito: il cimitero aperto.
Diverse sono le ipotesi sul perché della sua esistenza, tenuto conto che davanti alla chiesa di S. Bartolomeo i documenti confermano sistematicamente la presenza del cimitero parrocchiale: a) potrebbe trattarsi di un camposanto preesistente a quello parrocchiale b) potrebbe essere il luogo per la sepoltura riservata ai benefattori di lasciti o di Messe legatarie del santuario c) potrebbe configurarsi come un cimitero d’emergenza, quando le frequenti epidemie e pestilenze del passato mietevano vittime innumerevoli, complici le carestie, le guerre, la mancanza di norme e di terapie igienico-sanitarie adeguate.
Quest’ultima ipotesi ci sembra quella più verosimile, in quanto confermata da un documento, in cui, per precisare l’ubicazione di S. Zeno, si fa riferimento ad “un luogo isolato, dove sono sepolti i morti così detti dal contagio”.
Dobbiamo notare però che, nonostante la rustica semplicità della costruzione, l’oratorio di S. Zeno non è in rovina (come invece S. Martino inferiore), tanto che S. Carlo non impone alcun decreto particolare, a riprova della predilezione dei Carughesi per il santuario già nel lontano XVI secolo.
La trasformazione della chiesa di S. Zeno
Nel 1606, in occasione della visita pastorale del cardinale Federico Borromeo, l’oratorio di S. Zeno torna nuovamente ad occupare con la sua descrizione uno spazio più esteso nella compilazione degli atti .
Vi si precisa infatti che “l’oratorio è lontano dall’abitato, è molto antico e per questo è stato restaurato recentemente con le elemosine dei fedeli. L’altare non è consacrato, nella mensa però è inserita la pietra sacra; è staccato dalla parete un cubito e otto once ; la predella ha un solo gradino; è ornato con quattro candelabri. La cappella dell’altare è di forma semicircolare, larga cub. 13, lunga cub. 7, altezza congrua. Sul frontespizio c’è l’immagine dell’Annunciazione. La chiesa è rivolta ad oriente, ha una sola navata, lunga cub. 19, larga cub. 14, altezza congrua. Ha una sola finestra sul lato del Vangelo ed un piccolo campanile, che porta una campana”.
E’ importante notare come l’oratorio, dedicato a S. Zeno e con l’altare dedicato a S. Pantaleone, sia associato già nel XVII secolo anche alla devozione per la Vergine, testimoniata dall’immagine dell’Annunciazione del frontespizio, ora scomparsa. Si spiega così perché, col passare del tempo, la devozione per la Madonna abbia preso il sopravvento sul culto dei santi, senza però distruggerlo, specie dopo la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione l’8 dicembre 1854 per opera del Papa Pio IX, tanto che tuttora in tale giorno Carugo festeggia solennemente la Madonna di S. Zeno, a dimostrazione della coesistenza del culto della Vergine con il ricordo lontano della consacrazione del vescovo veronese (8 dicembre 362 d. C.).
Il cardinale Pozzobonelli nel 1762 così annota : “A poca distanza dalla parrocchiale sorge l’oratorio dedicato a S. Zeno, ricostruito, perché cadente per la trascuratezza e per la vetustà, con le offerte raccolte tra i fedeli e coi redditi dei legati (tra cui Bartolomeo Brenna e Giovanni Pietro Pelizzone), finalizzati alla buona conservazione dell’edificio. La chiesa è dotata di due porte: una grande sulla facciata e una piccola, che consente l’accesso alla sacrestia. Ha una sola navata ed un’unica cappella. Tutto il resto è elegante e nuovo. I redditi della chiesa di S. Zeno derivano da tre pertiche di terra donate in perpetuo da Bartolomeo Brenna nel 1651, con lo scopo di conservare in modo adeguato la struttura dell’edificio e di celebrare degnamente la festa di S. Zeno, con l’aggiunta di altre quattro messe. Inoltre esiste un legato di due messe settimanali, istituito da Pietro Pelizzone, nel 1616”.
Come si può notare, la chiesa di S. Zeno rivela il profondo legame della partecipazione popolare: non sono infatti le autorità civili o religiose, che dall’alto impongono o dispongono decreti e risorse, per realizzare il restauro, ma è il concorso di tutti i fedeli, dai più umili in grado di fornire solo delle elemosine, ai più abbienti in grado di permettersi dei lasciti, che realizzano insieme il rinnovamento di un luogo sacro, il quale non ha particolari pregi artistici, ma è il segno concreto di una fede profonda, che si perde nella notte dei tempi, dove non di rado la linea di demarcazione fra storia e leggenda si affievolisce sempre più fino a dissolversi.